mercoledì 28 novembre 2012

PINACOTECA DI BRERA - MILANO ***


Pinacoteca di Brera
Milano
*** (Vale un viaggio)

La Pinacoteca di Brera è un museo d’arte antica e moderna, di proprietà statale, gestito dalla locale Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici. La Pinacoteca ha sede nel Palazzo di Brera, opera iniziata nel XVII secolo da Francesco Maria Ricchini e terminata da Giuseppe Piermarini nel 1776. Il Palazzo ospita altresì l’Accademia di Brera, l’Istituto Lombardo di Scienze, l’Orto Botanico, l’Osservatorio Astronomico e la Biblioteca Braidense.
Si tratta di uno dei più importanti musei statali italiani. Il percorso espositivo comprende opere dal XIV al XX secolo, la maggior parte delle quali assoluti capolavori dell’arte italiana. Qui si trovano opere di Raffaello, Mantegna (il celeberrimo “Cristo morto”), Giovanni Bellini, fino a Modigliani e un buon numero di preziosi e rari Morandi del periodo metafisico.

Brera nasce nel 1776 per decreto di Maria Teresa d’Austria. La storia delle raccolte inizia con le soppressioni teresiane, ovvero quando l’Imperatrice ordina l’abolizione di alcune chiese e conventi della città e fa confluire a Brera le opere ivi requisite. Le raccolte si arricchiranno ulteriormente grazie alle soppressioni napoleoniche: quando Milano divenne capitale del Regno d’Italia nel 1805, Napoleone decise di trasformare Brera in un museo che contenesse i dipinti più significativi (tra quelli che non erano stati trasferiti al Louvre) provenienti dai territori conquistati dalle armate francesi e che svolgesse il ruolo di compendio della migliore produzione artistica del Regno. Questo, in breve, il motivo per cui a Brera troviamo veri capolavori.
Quando ho deciso di visitare nuovamente la Pinacoteca (la mia visita precedente è ormai lontana alcuni anni) avevo molti pregiudizi. Ero convinta di vedere opere rovinate, infiltrazioni d’acqua dal soffitto, sale chiuse e tutto il resto che si sente dire del museo dall’opinione pubblica. In realtà, con grande stupore, non è affatto così maltrattata. Le sale sono pulite, verniciate – pare – recentemente, le opere sono ben conservate e ben illuminate, all’ingresso vengono distribuiti pieghevoli con l’indicazione delle sale e la presentazione del percorso espositivo ed è addirittura presente un bookshop che vende volumi, cartoline e oggetti di alta qualità. Gli ambienti interni sono di grande fascino e ricordano i musei viennesi, il Kunsthistorisches in particolare. Durante il percorso si incontrano due depositi di opere d’arte, che mostrano parte della collezione non esposta o comunque fanno intendere la maggior vastità del patrimonio, e il laboratorio di restauro, visibile tramite una grande vetrata. All’interno era esposta la “Pietà” di Giovanni Bellini ora, appunto, in restauro e altrimenti invisibile.

Sorgono quindi spontanei alcuni quesiti: perché Brera è così malvista dall’opinione pubblica? Perché così poco visitata dal pubblico? E infine, ma non meno importante, servirà la realizzazione della “Grande Brera” a ridare slancio e visibilità alla Pinacoteca?
Non voglio annoiarvi con argomenti che esulano, in parte, con questo blog, ma alcuni dati per capire meglio il museo credo che servano.

Nel 2011 la Pinacoteca è stata visitata da 287.390 persone (fonte: Mibac), collocandosi “solo” al diciottesimo posto per numero di visitatori dei musei/aree archeologiche statali, con un introito lordo di 745.000,00 €, ai quali aggiungere gli introiti da servizi aggiuntivi (bookshop). Secondo Stefano Baia Curioni (Storico Economico e vicepresidente del centro di ricerca ASK, dell’Università Bocconi di Milano) che ha rilasciato in questi giorni un’intervista sul Giornale delle Fondazioni del Giornale dell’Arte, il costo di funzionamento stimato di Brera è di circa 7 milioni di euro all’anno. Pertanto il deficit strutturale è di circa 6 milioni di euro all’anno. Il progetto della “Grande Brera” ha ricevuto proprio in questi giorni il via formale, essendo stati sbloccati 23 milioni di euro per dare corso alla gara d’appalto. Il progetto, firmato dallo Studio Mario Bellini di Milano, prevede il trasferimento dell’Accademia nell’ex Caserma Magenta, il riallestimento delle sale della Pinacoteca e l’espansione delle raccolte nel vicino Palazzo Citterio, che dovrebbe contenere le collezioni del ‘900, un auditorium, i laboratori didattici e la fototeca. Il costo dell’intero progetto si aggira sui 150 milioni di euro. Il progetto dovrebbe essere inaugurato in occasione dell’Expo di Milano nel 2015. I nuovi spazi espositivi permetterebbero l’allestimento di grandi mostre temporanee e nuovi spazi per il pubblico. E questo impero dovrebbe mantenersi trasformando Brera in una Fondazione che attirerebbe soci e capitali privati.

Non meriterebbe nemmeno un commento un’iniziativa così irragionevole sotto molti punti di vista: innanzitutto per i tempi di realizzazione, impensabili anche qualora fosse disponibile l’intero ammontare per la realizzazione del progetto. Denari che, per inciso, non si sa se arriveranno e con quali tempi. Se poi consultate il sito della Pinacoteca, vedrete, tra le informazioni per la visita, che non viene garantita – per problemi finanziari e di personale – l’apertura di tutte le sale nei giorni festivi. Come al solito: soldi per grandiosi progetti dimenticandosi della gestione ordinaria. Ma, come sempre in questo periodo, si guarda al privato come àncora di salvezza in un mare di buchi di bilancio pubblici. C’è ancora qualcuno che crede che un museo possa guadagnare: non è possibile, credetemi. E non è possibile ancor di più se il bene in oggetto è pubblico, ha finalità pubbliche, una legislazione che tutela le sue funzioni e ne detta gli utilizzi. Gli unici privati che la nuova Brera potrà attrarre saranno per lo più Fondazioni ex bancarie, che proprio “private” non lo sono. Ultimo punto: non credo che per salvare Brera serva un archistar, né esporre tutte le opere conservate nei depositi, né 20.000 mq in più di spazio. Servirebbe una rivalutazione logica delle sue collezioni, meno terrorismo e più affezione nei confronti di una realtà museale incredibilmente affascinante. Mancano le mostre? Ma perché devono essere organizzate dal medesimo ente proprietario negli stessi spazi della Pinacoteca? Ci sono opere invisibili di inestimabile valore? Facciamole viaggiare e conoscere fuori dal quartiere. Occorrerebbe una promozione al di fuori delle mura comunali, in Italia e all’estero. 
Non si promuove il patrimonio in questo modo, non decuplicando i costi, snaturando le origini di un’istituzione, creando conflitto tra Accademia e Pinacoteca, enti che volontariamente sono nati gemelli perché il primo doveva guardare al secondo come esempio e il secondo contribuire ad accrescere il primo.
 
IMPORTANTE: La storia della Pinacoteca, delle sue acquisizioni, delle istituzioni che hanno sede nel Palazzo e ovviamente, la collezione. Superba.

EMOZIONANTE: Ognuno di voi troverà un’opera che riuscirà davvero ad affascinarlo. Per me emozionanti sono state le opere metafisiche di Giorgio Morandi, donate da Emilio Jesi negli anni ‘Ottanta del Novecento insieme a una collezione di arte moderna assoluto rilievo (Modigliani, De Pisis, Boccioni, Martini, Marini, Carrà, Braque, Picasso, e molti altri).

DIVERTENTE: I materiali in vendita nel bookshop. Sono davvero particolari e si possono trovare molti oggetti curiosi, oltre a pubblicazioni scientifiche e libri d’arte.

DELUDENTE: L’allestimento (questo sì che avrebbe bisogno di essere rivisto) della Collezione Jesi.

DA VEDERE PERCHE’
Da vedere prima della trasformazione (se mai ci sarà davvero). Per ribaltare l’idea che così la Pinacoteca sia un luogo derelitto e dimostrare un po’ d’affetto verso uno dei luoghi di cultura più importanti del nostro Paese.

 

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lunedì 26 novembre 2012

VILLA NECCHI CAMPIGLIO - MILANO ***


Villa Necchi Campiglio
Milano
*** (Vale un viaggio)

Villa Necchi Campiglio è una casa museo di proprietà del FAI (Fondo Ambiente Italiano). Costruita “senza limiti di spesa” dall’architetto Piero Portaluppi tra il 1932-35 per Angelo Campiglio, Gigina e Nedda Necchi, è uno splendido esempio di dimora privata in stile razionalista. La villa è stata donata al FAI nel 2001, alla morte di Gigina Necchi, perché fosse conservata nello splendore originale e aperta al pubblico godimento. Il restauro durerà sette anni e l’inaugurazione si terrà nel 2008. Villa Necchi Campiglio è inserita nel circuito delle Case Museo di Milano.
La villa si compone di tre livelli di 500 mq ciascuno più il sottotetto: al piano terra trovano posto i saloni di rappresentanza, le sale da pranzo, la biblioteca e la veranda con vista sullo splendido giardino; il primo piano è riservato alle stanze da letto dei proprietari, degli ospiti e della guardarobiera, unica dipendente che ha l’onere e l’onore di dormire allo stesso piano dei padroni di casa; al piano seminterrato si trovano le cucine, la sala da pranzo per il personale di servizio, oltre a una sala per le proiezioni cinematografiche e a una sala biliardo; infine, nel sottotetto erano state ricavate le camere per la servitù (che oggi hanno lasciato posto a sale per esposizioni temporanee).
Già nel 1938 i proprietari incaricano l’architetto Tomaso Buzzi di modificare l’arredo di alcuni ambienti, probabilmente considerati troppo spartani. Buzzi stravolge l’idea originaria di Portaluppi e introduce un arredamento in stile barocchetto, acquistando per conto dei Necchi Campiglio splendidi pezzi di antiquariato.

Nella villa trovano posto anche la collezione di (45) opere d’arte del Novecento italiano donate da Claudia Gian Ferrari e il salotto di Alighiero de’ Micheli, industriale tessile, che ha lasciato al FAI la sua collezione composta da oltre 130 pezzi originali del Settecento composta da mobili, arazzi, ceramiche e dipinti, tra cui un Canaletto e un piccolo Tiepolo.
Villa Necchi Campiglio è interessante, e per questo si merita il massimo punteggio, sotto quattro punti di vista: per l’architettura, per gli arredi, per la collezione di opere d’arte e per lo stile di vita e la storia sociale dei proprietari.
Ultima nota, prima di passare alle nostre categorie, sul Fondo Ambiente Italiano. Si tratta di una Fondazione privata senza scopo di lucro fondata negli anni ’70 da un gruppo di milanesi borghesi per la conservazione e la valorizzazione dell’ambiente e della cultura italiana. Oggi gestisce moltissimi siti (musei, aree archeologiche o naturali) in tutta Italia. Un plauso al loro operato, in questa occasione particolare, per due motivi: innanzitutto riescono a gestire il loro ingente patrimonio grazie all’utilizzo di volontari, preparatissimi, che sorvegliano le sale e conducono le visite guidate (unica modalità per visitare la Villa); in secondo luogo, non meno importante, è che tengono fede alle promesse in sede di donazione. Molto spesso infatti, pur di ricevere una donazione, le istituzioni culturali promettono ai donanti di occuparsene con cura e criterio assicurandone la conservazione e fruibilità al pubblico. Altrettanto spesso, però, con il tempo -o anche subito, ho visto molti casi in questo senso!- non viene mantenuta nessuna di queste promesse. Come al solito nessuno si indigna e nel migliore dei casi gli eredi chiederanno la restituzione della donazione, qualora questa sia modale. Villa Necchi conserva le volontà di tre donanti e dà la medesima importanza a ciascuna, garantendo la migliore valorizzazione di ogni donazione. Davvero bravi!

IMPORTANTE: L’architettura. Entrare in una dimora di così alto valore per la modernità delle scelte architettoniche e la bellezza delle soluzioni adottate vale di per sé un viaggio. Visitate anche il caffè, ospitato nel giardino d’inverno, tra la piscina e il campo da tennis.
CURIOSO E DIVERTENTE: Lo stile di vita della Famiglia Necchi Campiglio. Ricchissimi industriali borghesi, hanno vissuto il Novecento in compagnia di notissime personalità della politica, della medicina, della cultura. Amanti del bello, se ne sono circondati in ogni momento della vita. E allora scoprirete una vita interessante, entrerete nelle stanze private di una famiglia influente ma discreta, potrete rimanere affascinati da uno stile che non esiste più, entrare nella dispensa per vedere le stoviglie, ammirare la collezione di cappelli, di borse e di abiti di Nedda Necchi, restare ammaliati dai corredi di biancheria e dai preziosi tessuti.

STIMOLANTE: Gli arredi. Ovunque guardiate, troverete un particolare, uno scorcio, un angolo degno di nota. Arazzi fiamminghi del Cinquecento, mobili Settecenteschi, intagli preziosi, ceramiche antiche, tessuti lucenti. Ogni oggetto vale la pena di essere indagato a lungo.

EMOZIONANTE: La collezione del Novecento italiano di Claudia Gian Ferrari. Alcune opere sono ordinarie, altre straordinarie. Per me ce n’è una su tutte: la bellissima scultura di Arturo Martini “L’Amante morta”, che vi accoglie all’ingresso della dimora: una donna inginocchiata, vestita con un abito prezioso, con la testa reclinata da un lato, lo sguardo triste, le mani riverse sul grembo, uno specchio abbandonato sulle ginocchia. Uno specchio che non le servirà più. È un’opera di poetica tristezza e di grandissima emozione.

DA VEDERE PERCHE’: Se siete architetti, arredatori, appassionati d’arte moderna, amanti del bello, curiosi, viveur, borghesi o proletari, dovete vedere questa incredibile casa museo.

venerdì 23 novembre 2012

MUSEO DEL NOVECENTO - MILANO **


Museo del Novecento
Milano
** (Vale una deviazione)

Il Museo del Novecento, di proprietà del Comune di Milano, è ospitato nel Palazzo dell’Arengario in piazza Duomo ed è stato inaugurato nel dicembre 2010. La ristrutturazione dell’edificio, di epoca fascista, è stata affidata agli architetti Italo Rota e Fabio Fornasari. Secondo fonti di stampa, il costo della ristrutturazione è stato di circa 28 milioni di euro per una superficie complessiva di 8.500 mq di cui 5.000 mq espositivi. Le opere esposte sono circa 400, quasi tutte (tranne la sezione d’ingresso) di artisti italiani. Il percorso espositivo, che inizia con le avanguardie internazionali di inizio ‘900, passa in rassegna le maggiori correnti artistiche del secolo scorso: futurismo, metafisica, astrattismo, spazialismo, pittura informale, fino alla pittura analitica e all’arte povera.

La collezione è superba. Il Museo conserva dei veri capolavori. Il percorso è chiaro, equilibrato, con sezioni piuttosto contenute e con un ritmo rapido, il che rende la visita poco noiosa. Di contro, la ristrutturazione del Palazzo, così come l’allestimento delle sale è (strano a dirsi per un museo così nuovo) obsoleta, superata e, sotto il profilo tecnico, mal realizzata. L’allestimento è pesante e invasivo (sto pensando soprattutto ai pannelli posti dietro alle opere futuriste); i materiali utilizzati sono di scarsa qualità (linoleum a pavimento); dopo nemmeno due anni dall’apertura i locali si presentano rovinati o mal mantenuti. La rampa di accesso del museo, che collega la biglietteria al piano terra con il primo piano espositivo, sembra copiare la splendida spirale del Guggenheim di Frank Lloyd Wright e lo fa senza riuscirci, con soluzioni architettoniche discutibili (vedi i led a pavimento, la barriera in ferro dipinta di nero) e diventando immediatamente vecchia e superata.
Questo è un grave peccato. Il Museo, così realizzato, non ha nulla di internazionale, nulla di innovativo e purtroppo perde anche la possibilità di creare quell’atmosfera magica e poetica che le opere da sole saprebbero dare.

IMPORTANTE: La collezione. Milano vuol dimostrare di essere (stata) la capitale della cultura italiana e in qualche modo, pur con qualche lacuna, ci riesce.

CURIOSO: Tutti conoscono l’immagine dei 20 centesimi di euro italiani. Non tutti sanno però che quell’immagine è in realtà una scultura di Umberto Boccioni “Forme uniche della continuità nello spazio”, bronzo futurista considerato una delle più importanti opere del movimento. Non si tratta dell’unico esemplare: altri sono conservati al Moma, al Metropolitan e alla Tate Gallery. Infatti, qualora non lo sapeste, le sculture in bronzo non sono mai pezzi unici ma vengono realizzate in serie: l’artista crea un gesso, dal quale ricava un calco che utilizza per creare esemplari multipli, di solito cinque esemplari più la cosiddetta “prova d’artista”, ovvero il primo pezzo realizzato che serve per correggere eventuali imprecisioni.  La scultura è proprio bella e se non avete la possibilità di viaggiare oltremare per vedere gli altri musei che ne conservano un esemplare, solo questa vale la pena di visitare il Museo. Nella sala dedicata a Boccioni, oltre a poter ammirare un corpus molto importante di opere, scoprirete anche – curiosità un po’ macabra – che l’artista, affascinato dal moto dei cavalli a tal punto da dedicarvi moltissime opere, morì proprio in seguito a una caduta da cavallo, nel 1916. 
STIMOLANTE: Passare in rassegna cent’anni d’arte percorrendo solo pochi metri. Per chi non comprendesse l’arte moderna e considerasse Lucio Fontana uno svitato, qui potrebbe ricredersi, potrebbe cercare di capire e potrebbe anche rimanerne affascinato. Non sono molti i musei che possono vantarsi di riassumere in maniera così completa e in poco spazio un periodo così lungo e complesso. E se Fontana non vi avesse ancora convinto alla fine della visita, sappiate che lui l’ha sempre presa con disillusione e diceva: “… è l’infinito, e allora buco questa tela, che era alla base di tutte le arti, ed ecco che ho creato una dimensione infinita, un buco che per me è alla base di tutta l’arte contemporanea, per chi la vuole capire. Se no continua a dire che l’è un büs, e ciao…”

DIVERTENTE: Che siate appassionati o meno di arte moderna, ciascuno di noi all’interno del museo può riconoscere qualche opera, qualche artista, qualche corrente pittorica. Se ancora non la capite e tutto vi fa solo sorridere, andate nella sala dedicata a Piero Manzoni: anche lui ha sempre schernito il lavoro dell’artista, creando le celeberrime “Merde d’artista” (scatolette dal peso netto di 30 grammi che vendeva ciascuna al prezzo di altrettanti grammi d’oro), apponendo l’impronta del suo pollice su uova sode e creando i “Fiati d’artista”, comunissimi palloncini gonfiati dall’artista stesso e venduti come opere d’arte. Se non significa questo divertirsi…
DELUDENTE: Il Museo del Novecento è una bellissima vetrina del meglio dell’arte moderna milanese. Purtroppo mancano i riferimenti agli altri musei del Comune (come Casa Boschi Di Stefano, dalla quale sono state prelevate moltissime opere per esporle nel Palazzo dell’Arengario), come se il Museo bastasse a se stesso. Personalmente non la penso così poiché la cosa migliore che può lasciarti un museo è la curiosità di vederne altri.

DA VEDERE PERCHE’: I motivi sono tanti e li ho ampiamente detti. Se quello che avete letto non vi è bastato, eccovi un motivo universale: credetemi, questo museo è da vedere e va bene per tutti.  

mercoledì 21 novembre 2012

MUSEO DIOCESANO - MILANO *


Museo Diocesano
Milano
* Vale un passaggio

Il Museo Diocesano, realizzato e gestito dall’Arcidiocesi di Milano, conserva, espone e valorizza il patrimonio artistico della diocesi, le collezioni personali degli arcivescovi e alcuni lasciti, come la collezione dei Fondi Oro. Il patrimonio del Museo si compone di circa seicento opere, di cui quattrocento esposte. Si trovano dipinti su tela e su tavola, sculture, ceramiche, arredo liturgico, soprattutto di soggetto religioso.  Il museo, inaugurato nel 2001, si trova all’interno di un antico convento a pianta quadrata con una corte centrale. La ristrutturazione dell’edificio è degli anni Ottanta e Novanta del Novecento, mentre l’allestimento è stato realizzato a partire dal 1996.
L’atmosfera è un po’ fredda e poco coinvolgente. Manca un’aura di spiritualità che ci si potrebbe aspettare da un museo di questo tipo. L’allestimento interno è stato realizzato da architetti diversi, con risultati estetici e funzionali dissimili: l’arch. Piva, che si è interessato della parte prioritaria del museo e l’arch. Quadrio Curzio che si è invece occupato della sezione dei Fondi Oro. La conformazione architettonica dell’edificio rende l’esposizione museale particolarmente complessa, così come poco chiaro il percorso espositivo. Ampio spazio è dedicato ai servizi di accoglienza al pubblico: guardaroba, un grande spazio per il ritrovo dei gruppi, una caffetteria (non molto grande ma probabilmente sufficiente), il bookshop.  

IMPORTANTE: La volontà dell’Arcidiocesi di recuperare, tutelare e valorizzare un patrimonio storico e artistico che potrebbe andare disperso, sia nel senso di dispersione fisica che oblio intellettuale.
STIMOLANTE: Troverete moltissimi oggetti sacri che non avete mai visto. E quadri di soggetto liturgico che ora non siamo più in grado di capire. Tuttavia l’arte sacra nel passato aveva come scopo principale quello di trasferire un messaggio chiaro e immediato al popolo analfabeta. Tutti erano in grado di riconoscere un martire, capire chi era il Santo ritratto e riconoscere passi della Bibbia. Per stimolare la vostra curiosità, vi basterà cercare un soggetto ripetuto, un San Sebastiano, un San Girolamo, una Natività, una Deposizione. Capire che la composizione si ripete, imparare a riconoscerla e avere la volontà di leggere la storia che ha ispirato non solo quell’opera, ma migliaia di opere con lo stesso soggetto o lo stesso tema. È molto più divertente di quanto possiate immaginare.

DELUDENTE: Purtroppo le descrizioni degli oggetti vi aiutano poco a capirli.  Gli apparati esplicativi e didascalici non hanno un sufficiente grado di sviluppo per spiegare il nucleo delle opere presenti in una sala o le singole opere. Questo fatto è esasperato dalla presenza di opere d'arte non – per la maggior parte – notissime sul piano storico artistico e di oggetti strettamente liturgici rari o desueti, il cui semplice modo d’uso e contesto di utilizzo è oscuro ai più. Occorrerebbe, per migliorare la comprensione, contestualizzarli nell’epoca, nei costumi, nelle tradizioni e nella tradizione iconografica: la maggior parte della collezione potrebbe trovare un’interessante valorizzazione all’interno di uno o più di questi punti. Di contro, però, la visita potrebbe diventare noiosissima e non sempre c'è bisogno di un fiume di spiegazione per capire Quindi "prendete" ciò che vi serve e cercate voi le risposte!

DA VEDERE PERCHE’: Che siate credenti oppure no, è interessante vedere come l’arte abbia contribuito a costruire una coscienza e una cultura cattolica. Come abbia sviluppato e utilizzato un’iconografia riconoscibile, creando un alfabeto visivo popolare. E poi andate con la curiosità di conoscere e riconoscere anche solo un tema o un soggetto. Infine, visto che i pannelli di sala vi aiuteranno poco, vi consiglio di prendere l’audioguida. È disponibile in due versioni, una delle quali con il commento base.

martedì 20 novembre 2012

GALLERIE D'ITALIA - CANTIERE DEL '900 - MILANO *


Gallerie d'Italia

Cantiere del '900

Milano

* (Vale un passaggio)



 
Le Gallerie d’Italia, ambizioso progetto di Intesa San Paolo, sono uno spazio espositivo di 8.600 mq ospitato nel Palazzo Anguissola Antona Traversi, nel Palazzo Brentani e nella ex sede della Comit in Piazza Scala, a Milano. Quest’ultima accoglie il “Cantiere del ‘900”, sezione da poco inaugurata che presenta le collezioni d’arte del Novecento di Banca Intesa e della Collezione Cariplo (circa 170 opere).
La visita è gratuita, così come audioguida e guardaroba. Lo dico subito: l’ambiente è stucchevolmente snob, dai guardasala vestiti in tailleur nero, al pubblico composto per la maggioranza da alti funzionari, banchieri, salottieri, consiglieri di amministrazione che sono lì (solo?) per ammirare la grandezza del progetto, fino alle opere, spolveratissimi simulacri del meglio delle gallerie private cittadine.
Per carità, intendiamoci. Scrivo per invitarvi ad andare ai musei, non per togliervi lo slancio. Anche questo museo è da vedere e anche in questo ci sono alcune cose interessanti e molti spunti di riflessione.
Tuttavia, concedetemelo, ciò che lascia perplessi è lo scarto tra le dichiarazioni e il risultato.
Il Cantiere del ‘900 viene presentato come un’operazione di alto rilievo realizzata a beneficio della “Cultura” nazionale. In realtà mi è sembrata più che altro un’operazione per imprimere importanza a chi lo ha realizzato.
Questo lo dico per due motivi fondamentali.
Il primo è che un museo di questa grandezza e complessità gestionale non può essere, a mio avviso, inserito in un piano “approvato di triennio in triennio” che ha come scopo quello di “programmare in modo organico e in un orizzonte temporale adeguato gli interventi in campo dell’arte e della cultura” (cfr. presentazione al catalogo di Giovanni Bazoli, Presidente del Consiglio di Sorveglianza di Intesa San Paolo): una programmazione triennale riferita a un progetto culturale è estremamente miope e ancora di più lo è considerando il costo (sicuramente) notevolissimo di funzionamento di una struttura del genere. Costruire, restaurare e organizzare un museo è costosissimo, ma ancora di più lo è tenerlo aperto e farlo funzionare.
Il secondo motivo è l’assenza di un colophon iniziale che presenti chi ha realizzato il museo e di un comitato scientifico: il progetto è di un solo (seppur bravo) curatore – Francesco Tedeschi – con la collaborazione scientifica di due soggetti e la “direzione del progetto” nonché il “coordinamento organizzativo” è della Segreteria Generale del Consiglio di Sorveglianza di Intesa San Paolo.
Qualcuno potrebbe obiettare che un soggetto privato, quale Banca Intesa, con fondi privati possa spendere come meglio crede il proprio denaro. Sono d’accordo e, anzi, ben venga ogni operazione culturale nel nostro Paese. Però ricordiamoci che quello che viene speso per realizzare un proprio progetto va a scapito di sponsorizzazioni in campo culturale verso soggetti terzi. D’altra parte, la visibilità che si ha realizzando una propria opera è incomparabilmente maggiore rispetto a quella che si ottiene soltanto partecipando, con altri soggetti, a un’operazione collettiva. E, non meno importante, costruire un museo significa imprimere il proprio punto di vista riordinando il mondo nel quale viviamo.

IMPORTANTE: Il recupero e il restauro del Palazzo è sicuramente un’operazione importante e molto ben riuscita. Dal punto di vista dell’allestimento (ancora una volta ad opera dell’architetto Michele de Lucchi) il museo compete con standard internazionali. Guardate l’illuminazione (notevole) delle opere, l’eleganza degli arredi, il perfetto accostamento di elementi nuovi e antichi, il rispetto verso l’architettura e la valorizzazione degli elementi originali del Palazzo.
CURIOSO E STIMOLANTE: Il caveau, collocato al piano interrato, il cui interno è visibile tramite una porta a vetri. Per tutti i non addetti ai lavori, è curioso scoprire come vengono conservate le opere d’arte e sporgersi il più possibile per vedere se possiamo riconoscere un autore o trovare un’opera che ci piace.
DIVERTENTE: Il bookshop e la caffetteria. Esteticamente notevoli entrambi, il primo è apertamente giocoso e la seconda è fintamente chic. Assolutamente da vedere.
DELUDENTE: La collezione. Poche sono le opere che possiedono la dignità di occupare un posto in un museo: un Achrome del ’58 di Manzoni, un Castellani del ’71, alcuni Fontana, Vedova, e pochi altri. Il resto meglio si adatterebbe a una galleria d’arte privata. Certo, occorre dire che le Gallerie d’Italia non si definiscono un “museo” ma un “luogo espositivo” in divenire. Se così fosse, si dovrebbe allora stemperare la lezione di storia dell’arte impartita dai pannelli e dalla interminabile audioguida.

 DA VEDERE PERCHE’: Una volta erano i mecenati, nobili ed ecclesiastici. Poi è stata la volta dei borghesi. Infine del popolo. Il soggetto pubblico è stato per decenni promotore e unico difensore della cultura. Oggi il pubblico lo è un po’ meno e ha lasciato spazio a banche e a fondazioni bancarie. Andate e riflettete sulla trasformazione della politica culturale in Italia.

sabato 17 novembre 2012

TRIENNALE DESIGN MUSEUM - TDM 5 - MILANO **


Triennale Design Museum - TDM 5 (Quinta edizione)
Milano

** (Vale una deviazione)
Visita: novembre 2012
Il Triennale Design Museum è il Museo italiano del Design per eccellenza. L’allestimento del Museo, così come i suoi contenuti e le collezioni esposte, cambia ogni anno. Quest’anno il tema scelto è la grafica italiana, intesa come storia e rappresentazione della comunicazione visiva in svariati ambiti della società: dal libro stampato alle sue copertine, dai periodici ai manifesti pubblicitari, dalla politica alla corporate identity dei grandi gruppi industriali.
L’allestimento è piacevole, estremamente curato e ben fatto. Non troverete idee rivoluzionarie, ma un ambiente gradevole e con un percorso distinto e molto chiaro, questo sì. Nove colori diversi per nove diverse sezioni. La vista è il senso più gratificato e, colore a parte, il museo è “bello”. Non sembrerebbe dall’atmosfera calma e un po’ apatica, ma se superate la prima impressione scoprirete un museo vivo. Sono gli oggetti a guidarvi nel percorso e a stimolare la vostra fantasia. Se vi avvicinerete a loro, questi vi faranno respirare il piombo delle vecchie tipografie, vi stordiranno con il rumore delle macchine da stampa, vi faranno sentire l’odore dolce della benzina nelle molotov lanciate durante le rivolte studentesche, vi intossicheranno con il fumo dell’industria e prenderanno la vostra mano facendola scivolare sul sudore degli operai così come su quello dei grandi creativi del nostro tempo, in un’uguaglianza molto ben rappresentata durante il percorso. Il Museo vi sta dicendo che non sono solo “loro” ma siete anche “voi”. Un vero mix tra proletariato e élite che conta, dove non è solo l’élite che fa la storia.

IMPORTANTE: Dalle premesse è facile intuire che non ci sono “capolavori” a meno che non siate dei patiti di Armando Testa e la sindrome di Stendhal non vi colga di fronte alla pubblicità del Punt e Mes. “Importante” in questo caso è capire che il design è ovunque e avere la curiosità di riconoscerlo nella vita di tutti i giorni.
CURIOSO : Ma voi lo sapevate che il sottoutilizzatissimo carattere “Bodoni” (aprite Word per vederlo) è stato creato da un elegantissimo settecentesco personaggio omonimo del negletto carattere e dal nome Giambattista? Dopo averlo saputo, ho aperto Word per intuire quanti altri font prendano il nome dal loro inventore. Poi sono andata su dafont.com per indovinare quanti caratteri ritroveremo, un giorno, in un altro museo.
STIMOLANTE: Il design è parte della nostra vita molto ma molto di più di quello che credevamo. È esposto il pacco della pasta Barilla? Il logo della Metropolitana di Milano? Le riviste (e non solo Panorama)? La “Coppa del Nonno”? Ma, da queste premesse, cosa ancora potrebbe esserci? Dopo la visita, guarderete la vostra dispensa, i viali della città, l’edicolante e il freezer del supermercato in modo diverso…
DIVERTENTE: L’atmosfera non è particolarmente divertente. Nemmeno ingessata, direi piuttosto “neutra”. Non è divertente neanche l’uso della tecnologia che si limita a pochi schermi con qualche documentario Luce. Il Museo è estremamente colto, molto specialistico, poco ironico, le spiegazioni complicate. Ma gli oggetti sono divertenti. Non passateci più di un’ora e mezza, guardate quello che vi piace, pensate a voi stessi e vi divertirete.
DELUDENTE: La scelta di non esporre oggetti “nel” Museo del Design è impavida. Sinceramente, personalmente, non ne ho sentito la mancanza anche se posso capire che chi cerchi il design architetturale o visiti il museo per la prima volta possa rimanerne un po’ deluso. Per voi che andrete a vedere il Museo adesso, ricordatevi che non esiste solo l’Arco di Achille Castiglioni e che la storia del design è fatta di molte cose. E che a marzo 2013, quando questa sarà finita, potete tornare per vedere (forse) anche l’Arco!

 DA VEDERE PERCHE’
Sono felice di aver iniziato il mio blog con il Triennale Design Museum. Ho detto nella presentazione che non (necessariamente) si debba stare sei ore al Louvre e neppure si debba entrare al Prado e leggere tutte le didascalie dei suoi ottomilaseicento quadri esposti cercando di ricordarli tutti. Se volete visitare il TDM 5 e capire o sapere “tutto”, come minimo dovete avere non solo una laurea in storia dell’arte, ma anche in architettura, storia del costume, storia moderna, disegno industriale, un diploma di grafico pubblicitario e aver fatto il tipografo dagli anni ’40 agli anni ‘80. Non è possibile e non è questo il tipo di Museo. Andate per vedere un’idea, dare un’occhiata all’allestimento, ricordare un segno o un progetto e annusare le atmosfere del secondo Novecento, capendo che il design è molto più vicino a noi di quanto potessimo ritenere.

 INFINE, DA NON PERDERE: Il ponte di Michele De Lucchi che collega lo scalone con il piano espositivo.