Gallerie d'Italia
Cantiere del '900
Milano
* (Vale un passaggio)
Le Gallerie d’Italia, ambizioso progetto di Intesa San Paolo, sono uno spazio espositivo di 8.600 mq ospitato nel Palazzo Anguissola Antona Traversi, nel Palazzo Brentani e nella ex sede della Comit in Piazza Scala, a Milano. Quest’ultima accoglie il “Cantiere del ‘900”, sezione da poco inaugurata che presenta le collezioni d’arte del Novecento di Banca Intesa e della Collezione Cariplo (circa 170 opere).
La visita è gratuita, così come audioguida e guardaroba. Lo dico subito: l’ambiente è stucchevolmente snob, dai guardasala vestiti in tailleur nero, al pubblico composto per la maggioranza da alti funzionari, banchieri, salottieri, consiglieri di amministrazione che sono lì (solo?) per ammirare la grandezza del progetto, fino alle opere, spolveratissimi simulacri del meglio delle gallerie private cittadine.
Per carità, intendiamoci. Scrivo per invitarvi ad andare ai musei, non per togliervi lo slancio. Anche questo museo è da vedere e anche in questo ci sono alcune cose interessanti e molti spunti di riflessione.
Tuttavia, concedetemelo, ciò che lascia perplessi è lo scarto tra le dichiarazioni e il risultato.
Il Cantiere del ‘900 viene presentato come un’operazione di alto rilievo realizzata a beneficio della “Cultura” nazionale. In realtà mi è sembrata più che altro un’operazione per imprimere importanza a chi lo ha realizzato.
Questo lo dico per due motivi fondamentali.
Il primo è che un museo di questa grandezza e complessità gestionale non può essere, a mio avviso, inserito in un piano “approvato di triennio in triennio” che ha come scopo quello di “programmare in modo organico e in un orizzonte temporale adeguato gli interventi in campo dell’arte e della cultura” (cfr. presentazione al catalogo di Giovanni Bazoli, Presidente del Consiglio di Sorveglianza di Intesa San Paolo): una programmazione triennale riferita a un progetto culturale è estremamente miope e ancora di più lo è considerando il costo (sicuramente) notevolissimo di funzionamento di una struttura del genere. Costruire, restaurare e organizzare un museo è costosissimo, ma ancora di più lo è tenerlo aperto e farlo funzionare.
Il secondo motivo è l’assenza di un colophon iniziale che presenti chi ha realizzato il museo e di un comitato scientifico: il progetto è di un solo (seppur bravo) curatore – Francesco Tedeschi – con la collaborazione scientifica di due soggetti e la “direzione del progetto” nonché il “coordinamento organizzativo” è della Segreteria Generale del Consiglio di Sorveglianza di Intesa San Paolo.
Qualcuno potrebbe obiettare che un soggetto privato, quale Banca Intesa, con fondi privati possa spendere come meglio crede il proprio denaro. Sono d’accordo e, anzi, ben venga ogni operazione culturale nel nostro Paese. Però ricordiamoci che quello che viene speso per realizzare un proprio progetto va a scapito di sponsorizzazioni in campo culturale verso soggetti terzi. D’altra parte, la visibilità che si ha realizzando una propria opera è incomparabilmente maggiore rispetto a quella che si ottiene soltanto partecipando, con altri soggetti, a un’operazione collettiva. E, non meno importante, costruire un museo significa imprimere il proprio punto di vista riordinando il mondo nel quale viviamo.
CURIOSO E STIMOLANTE: Il caveau, collocato al piano interrato, il cui interno è visibile tramite una porta a vetri. Per tutti i non addetti ai lavori, è curioso scoprire come vengono conservate le opere d’arte e sporgersi il più possibile per vedere se possiamo riconoscere un autore o trovare un’opera che ci piace.
DIVERTENTE: Il bookshop e la caffetteria. Esteticamente notevoli entrambi, il primo è apertamente giocoso e la seconda è fintamente chic. Assolutamente da vedere.
DELUDENTE: La collezione. Poche sono le opere che possiedono la dignità di occupare un posto in un museo: un Achrome del ’58 di Manzoni, un Castellani del ’71, alcuni Fontana, Vedova, e pochi altri. Il resto meglio si adatterebbe a una galleria d’arte privata. Certo, occorre dire che le Gallerie d’Italia non si definiscono un “museo” ma un “luogo espositivo” in divenire. Se così fosse, si dovrebbe allora stemperare la lezione di storia dell’arte impartita dai pannelli e dalla interminabile audioguida.
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